La città di Catania tra qualche giorno si appresta a vivere la festosità e l’emozione della festa di Sant’Agata, una delle feste religiose più grandi al mondo.
Noi della Federico II abbiamo deciso di introdurvi alla festa e cercare di spiegarvi le emozioni che ne scaturisce in chi la vive sin da piccolo, chi si appassiona un po’ per caso e chi incuriosito come molti dei nostri studenti la vivrà per la prima volta.
Si dice sia la terza o la seconda più grande al mondo per seguito di fedeli, ma credo che se lo chiedessimo ad ogni cittadino di Catania, vi direbbero che la festa è l’unica e sola.
Partiamo in ordine di importanza:
Chi è Agata?
Sant’Agata è stata, secondo la tradizione cattolica, una giovane vissuta tra il III e il IV secolo, durante il proconsolato di Quinziano. Una giovane che scelse la vita religiosa al matrimonio e alla famiglia.
Secondo la leggenda, Agata è nata in una famiglia siciliana ricca e nobile, nell’anno 246. Nel periodo fra il 250 e il 251 il proconsole Quinziano venne a Catania con l’intento di far rispettare l’editto dell’imperatore Decio, che chiedeva a tutti i cristiani di negare pubblicamente la loro fede e s’innamorò della giovane. Saputo della consacrazione, le ordinò, senza successo, di ripudiare la sua fede e di adorare gli Dei pagani.
Rivelatosi inutile il tentativo di corromperne i princìpi, Quinziano cominciò un processo e convocò Agata al palazzo pretorio. Memorabili sono i dialoghi tra il proconsole e la santa che la tradizione conserva, dialoghi da cui si capisce senza dubbio come Agata fosse edotta in dialettica e retorica.
Venne fustigata e sottoposta al violento strappo delle mammelle, mediante delle tenaglie. La tradizione indica che nella notte venne visitata da San Pietro che la rassicurò e ne curò le ferite. Infine venne sottoposta al supplizio dei carboni ardenti. La notte seguente all’ultima violenza, il 5 febbraio 251, Agata morì nella sua cella.
Dove possiamo trovarla?
Le sacre reliquie della martire catanese, sono custodite in Cattedrale. Nascosta da occhi indiscreti Sant’Agata rimane nascosta a tutti i suoi fedeli fino al giorno della festa tanto attesa, che si svolge a dal 3 al 5 febbraio.
La festa.
La città si veste a festa, tra tradizione, folclore e mille altri colori. Già dalle settimane precedenti le “candelore”, grossi ceri che rappresentano le corporazioni o i mestieri, vengono portate in corteo in giro per Catania.
La mattina del 3 febbraio, un corteo porta dalla Cattedrale alla Chiesa di San Biagio in processione le due carrozze del senato e la serata si conclude con un grandioso spettacolo di giochi pirotecnici in piazza Duomo.
Il 4 febbraio segna il primo incontro della città con la santa Patrona. Già dalle prime ore dell’alba le strade della città si popolano di “cittadini “. Sono devoti che indossano il tradizionale “sacco” (un camice votivo di tela bianca lungo fino alla caviglia e stretto in vita da un cordoncino), un berretto di velluto nero, guanti bianchi e sventolano un fazzoletto anch’esso bianco.
Luccicante di oro e di gemme preziose, il busto di sant’Agata viene issato sul fercolo d’argento rinascimentale, foderato di velluto rosso, il colore del sangue del martirio, ma anche il colore dei re. Prima di lasciare la cattedrale per la tradizionale processione lungo le vie della città, Catania dà il benvenuto alla sua patrona con la solenne “Messa dell’ Aurora “. Il fercolo viene caricato del prezioso scrigno con le reliquie e portato in processione per la città.
Il “giro“, la processione del giorno 4, dura l’intera giornata. Il fercolo attraversa i luoghi del martirio e ripercorre le vicende della storia della “santuzza“. Tutti rigorosamente indossano il sacco votivo e a piccoli passi, tra la folla, trascinano il fercolo che, vuoto, pesa 17 quintali, ma, appesantito di Scrigno, Busto e carico di cera, può pesare fino a 30 quintali.
Sul fercolo del 5 febbraio, i garofani rossi del giorno precedente (simboleggianti il martirio), vengono sostituiti da quelli bianchi (che rappresentano la purezza).
Il momento più atteso è il passaggio per la via di San Giuliano, che per la pendenza è il punto più pericoloso di tutta la processione. All’alba, in via Crociferi, migliaia di cittadini in camice bianco sfidano il freddo della notte, gridando “Cittadini Viva Sant’Agata“, in un momento denso di magia e spiritualità. A questo punto, mentre improvvisamente l’atmosfera si fa silenziosa, si eleva il canto angelico delle monache di clausura. L’origine del testo e della musica si perde nella notte dei tempi, anche se una leggenda tramanda che il suo autore fu un siciliano di nome Tarallo, che lo compose appositamente per le monache di clausura di San Benedetto.
La festa si conclude con il rientro di Sant’Agata al Duomo.
Non potevano mancare, in periodo di festa, i dolci legati alla tradizione della santa catanese. Vengono realizzati per la ricorrenza alcuni dolci che hanno un riferimento a sant’Agata, come i “Cassateddi di Sant’Aita” e le “Olivette“. Le
cassateddi, o “Minnuzze” fanno riferimento alle mammelle che furono strappate alla santa durante i martiri. Le olivette, invece, si riferiscono alla leggenda che Agata, inseguita dagli uomini di Quinziano e giunta ormai nei pressi del palazzo pretorio, si fosse fermata a riposare un istante. Nello stesso momento in cui si fermò, un ulivo comparve dal nulla e la giovinetta potè ripararsi e anche cibarsi dei suoi frutti.
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