Penso siano in pochi coloro ai quali non è giunta all’orecchio la fama e la gloria del Monastero dei Benedettini.
Patrimonio dell’UNESCO dal 2002, e definito come “gioiello del tardo-barocco siciliano”, il Monastero dei Benedettini è il secondo complesso monastico più grande d’Europa e dal 1977 sede del DiSUM, il Dipartimento di Scienze Umanistiche dell’Università di Catania.
Ma addentriamoci nella storia di questa piccola (si fa per dire) perla nostrana.
Le origini
La prima pietra del Monastero fu gettata nel 1558 quando i monaci benedettini delle congreghe di Nicolosi, Monte S. Leo e Santa Maria di Licodia, situate in alcuni territori limitrofi a Catania, mal sopportando il clima freddo e le scorribande di ladroni, chiesero di spostarsi dentro le cinta murarie della città etnea, considerata più ricca e sicura, dando vita a quello che sarebbe diventato il Monastero di San Nicolò l’Arena.
Il nome
Il suo nome prende origine proprio dalla sabbia vulcanica di colore rosso tipica del territorio catanese; la rena rossa, o “ghiara”, è il risultato della fusione tra i sedimenti, anch’essi di solito di origine vulcanica e pieni di minerali, che costituiscono il terreno su cui la lava avanza e la colata lavica stessa. Nel 1669 una colata lavica dell’Etna investì il complesso monastico, ricoprendone la parte settentrionale, i giardini e le stalle, mentre un altro braccio della colata distrusse il tetto dell’antica chiesa adiacente di San Nicola, che ospita un magnifico organo a canne e una delle più grandi meridiane europee, lodata per le dimensioni e l’accuratezza.
La storia
Ma il Monastero dovette affrontare un’altra devastazione; nel 1693 Catania fu scossa da un violento terremoto: questa volta il Monastero fu fortemente danneggiato e trentadue monaci ne restarono vittime. Vennero pertanto iniziati i lavori di restauro e, grazie agli interventi degli architetti Tommaso Amato, Giambattista Vaccarini e Francesco Battaglia, l’impianto originale venne ampliato: al chiostro di Ponente, magnifico portico che ospita al centro del suo giardino la maestosa fontana in marmo di Carrara e dallo stile tardo rinascimentale, si aggiunge il chiostro di Levante, della stessa architettura e ricoperto di pietra bianca di Siracusa, ma al cui centro stavolta sorge un “Caffeaos” dal disegno gotico.
Vengono realizzati due giardini, l’Orto Botanico e il giardino dei Novizi, oltre ai refettori e al coro di notte: il tutto arriva a comprendere una superficie di circa dieci ettari. I lavori impegnano i monaci parecchi anni; in questi anni i monaci rivestono il Monastero di marmi pregiati, come il marmo bianco di Carrara, e le cappelle e le biblioteche di dipinti.
Monumentale è lo scalone principale che introduce al monastero, opera sfarzosamente barocca dell’architetto Carmelo Battaglia Santangelo: una rampa che diverge in due, sorretta da due ordini di colonne, fa scivolare lo sguardo alle pareti coperte di stucco e ornate di figure a basso-rilievo rappresentanti i quattro scrittori del Vangelo, Sant’Agata, Sant’Euplio e San Benedetto.
Il Grand Tour e il presente
Nel ‘700 diventa una meta obbligata per i viaggiatori del grand tour, che ne restavano ammaliati ed estasiati. Negli ultimi due secoli passa prima nelle mani del cardinale Dusmet, divenuto nel frattempo arcivescovo di Catania, poi sede del Museo Civico di Catania.
Infine, viene ceduto all’Università di Catania per ospitare la sede di Lettere e Filosofia; le ex celle dei monaci si tramutano negli uffici amministrativi, negli studi dei professori e nelle aule dove si svolgono le lezioni. Ad oggi è uno dei luoghi di cultura preferiti dai turisti che possono usufruire di un tour della durata di un’ora e mezza che si addentra nelle bellezze e negli angoli eclettici del Monastero.
Menzione a parte per le “Biblioteche riunite Civica e A. Ursino Recupero” nata dall’unione della Biblioteca Civica di Catania e la raccolta del barone Ursino Recupero: ad oggi conta oltre 27.000 volumi distribuiti nelle cinque sale sparse per il Monastero, di cui la più famosa è la sala Vaccarini che, con la sua pianta ovale, il soffitto affrescato e i libri pregiati dei secoli XVI-XVII, è uno dei pochi ambienti del Monastero che ha mantenuto il suo aspetto originale.
Articolo di Luana Indelicato
Traduzione curata da Giulia Cusumano




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